martedì 18 gennaio 2011

Lettera del figlio di un operaio


Proprio in un frangente temporale del genere, in cui i lavoratori Fiat hanno firmato, circuiti da sterili organizzazioni sindacali, un accordo probabilmente che non fa altro che prolungare una fine ormai certa di questa società automobilistica (almeno entro i confini italiani), ritengo sia doveroso citare una lettera da parte di una familiare, un figlio per la precisione, che vive da vicino le sensazioni, l'atmosfera, il bene e il male di questa "lotta di classe".
Qui di seguito riporto le parole di Luca Mazzucco, figlio di un operaio della Fiat, in una lettera rivolta al padre. Le sue frasi fanno capire quanto la globalizzazione non abbia fatto altro che renderci dei "numeri", "componenti non monetarie della retribuzione", dimenticando che le "unità produttive" non sono cose, oggetti inanimati, ma sono esseri umani, capaci di nutrire sentimenti, emozioni, tristezze, gioie.

(di Luca Mazzucco):
"Ero tornato da poche ore, l'ho visto, per la prima volta, era alto, bello, forte e odorava di olio e lamiera. Per anni l'ho visto alzarsi alle quattro del mattino, salire sulla sua bicicletta e scomparire nella nebbia di Torino, in direzione della Fabbrica. L'ho visto addormentarsi sul divano, distrutto da ore di lavoro e alienato dalla produzione di migliaia di pezzi, tutti uguali, imposti dal cottimo.

L'ho visto felice passare il proprio tempo libero con i figli e la moglie.

L'ho visto soffrire, quando mi ha detto che il suo stipendio non gli permetteva di farmi frequentare l'università.

L'ho visto umiliato, quando gli hanno offerto un aumento di 100 lire per ogni ora di lavoro.

L'ho visto distrutto, quando a 53 anni, un manager della Fabbrica gli ha detto che era troppo vecchio per le loro esigenze.

Ho visto manager e industriali chiedere di alzare sempre più l'età lavorativa, ho visto economisti incitare alla globalizzazione del denaro, ma dimenticare la globalizzazione dei diritti, ho visto direttori di giornali affermare che gli operai non esistevano più, ho visto politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, ho visto sindacalisti dire che la modernità richiede di tornare indietro. Ma mi è mancata l'aria, quando lunedì 26 luglio 2010, su " La Stampa" di Torino, ho letto l'editoriale del Prof. Mario Deaglio. Nell'esposizione del professore, i "diritti dei lavoratori" diventano "componenti non monetarie della retribuzione", la "difesa del posto di lavoro" doveva essere sostituita da una volatile "garanzia della continuità delle occasioni da lavoro", ma soprattutto il lavoratore, i cui salari erano ormai ridotti al minimo, non necessitava più del "tempo libero in cui spendere quei salari", ma doveva solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della controparte (teoria ripetuta dal Prof. Deaglio a Radio 24 tra le 17,30 e la 18,00 di Martedì 27 luglio 2010). Pensare che un uomo di cultura, pur con tutte le argomentazioni di cui è capace, arrivi a sostenere che il tempo libero di un operaio non abbia alcun valore, perché non è correlato al denaro, mi ha tolto l'aria.

Sono salito sull'auto costruita dagli operai della Mirafiori di Torino.

Sono corso a casa dei miei genitori, l'ho visto per l'ennesima volta. Era curvo, la labirintite, causata da milioni di colpi di pressa, lo faceva barcollare, era debole a causa della cardiopatia, era mio padre, operaio al reparto presse, per 35 anni, in cui aveva sacrificato tutto, tranne il tempo libero con la sua famiglia, quello era gratis.

Odorava di dignità. "

Vi consiglio un video tratto dal film "I lunedì al sole"

http://www.youtube.com/watch?v=EzpbG8UqsV4&feature=player_embedded


Salvatore Tamburro

sabato 8 gennaio 2011

Basta caramelle agli Italiani


In Italia balza all'occhio l'aumento della disoccupazione tra i giovani: il tasso si è attestato al 28,9%, con un aumento di 2,4 punti rispetto a novembre 2009. E' il livello record dall’inizio delle serie storiche a gennaio 2004.
Secondo i calcoli di Adusbef e Federconsumatori, tra rincari di alimentari, benzina, tariffe, assicurazioni e servizi bancari, il 2011 sarà "un anno infelice", con un impatto di 1.016 euro annui a famiglia.
La voce più consistente che peserà sulle famiglie sarà quella alimentare, con aumenti annui di 267 euro, ovvero del 6%. A seguire i carburanti, per i quali, sulla scia dei previsti incrementi del petrolio (si dà ormai per scontato un rally fino a 100 dollari al barile) la spesa aumenterà di ben 131 euro l'anno.

Questa è la situazione italiana, in cui i sondaggi fanno capire come PD e PDL siano diventati partiti per vecchi, traducendo il distacco sempre più marcato dei giovani, degli studenti, dei disoccupati dai due blocchi principali della politica.
Non è cosa da poco e adesso lo confermano anche i dati, perchè vuol dire che "destra" e "sinistra" si stanno rivelando INCAPACI di far fronte alle esigenze delle future generazione, le quali non vedono nessun sbocco lavorativo in questo Paese, costretti a scegliere tra due vie: fare i "mantenuti" (sempre sperando ci sia una famiglia alle spalle) fino ai 40-45 anni in cui si stima troveranno la loro indipendenza, oppure optare per la fuga all'estero.

Nel BelPaese ancora non è arrivato quel vento gelido e tagliente chiamato "INDIGNAZIONE", ovvero quel sentimento di sdegno o di rivolta che la collettività dovrebbe provare quando che viene messa in ginocchio dall'assenza di speranze, ideali, prospettive future. Eppure ci si accontenta che in fondo la nostra squadra di calcio del cuore domenica abbia vinto, che trasmettano sempre il Grande Fratello in Tv e qualche altro programma demenziale, che possiamo ancora permetterci di mangiare una pizza con gli amici il sabato sera, eppure eppure sembra poter andare ancora tutto bene.
Invece no, non va bene. Siamo sulla soglia del baratro e stiamo per caderci dentro senza rendercene conto e senza reagire.

In Tunisia da circa tre settimane ci sono scontri continui tra giovani e forze dell'ordine. La scintilla si è generata con la vicenda riguardante Mohamed Bou’azizi: era un laureato 26enne senza un lavoro stabile, aveva una bancarella a Sidi Bouzid, in Tunisia, con la quale vendeva frutta e verdura senza permesso, nel tentativo di aiutare la sua famiglia. Il 17 dicembre 2010 la polizia gli confisca tutta la sua merce, e un agente lo schiaffeggia di fronte ai passanti. Bou’azizi cerca vanamente di protestare, ma gli agenti si mostrano inflessibili e se ne vanno.
Di qui il disperato gesto di darsi fuoco. Il giovane, straziato dalle ustioni, muore il 5 gennaio 2011 in un letto d’ospedale.
Quel gesto scandaloso scuote l’intera nazione tunisina e in breve tempo le sommosse popolari si allargano nella regione di Sidi Bouzid e nelle aree limitrofe, con scontri che stanno proseguendo, ancor oggi, nel sangue.

Stessa cosa in Algeria: non si ferma la protesta iniziata martedì in seguito agli ultimi aumenti dei prezzi di prodotti alimentari di largo consumo. Nuove manifestazioni si sono svolte in quasi tutto il Paese: in diversi quartieri di Algeri sono avvenuti violentissimi scontri tra polizia e manifestanti, che hanno incendiato auto e saccheggiato negozi.
All'origine dei disordini, l'impennata dei prezzi di generi alimentari di prima necessità: olio e zucchero sono aumentati nell'ultima settimana di oltre il 20%. E si diffonde la paura per la possibile mancanza di pane.

Il malcontento è generalizzato, la crisi economica tocca un po' tutti. Ma mi domando: come mai i popoli rispondono con tempi e metodi diversi alle sopraffazioni che subiscono?
Sarà una questione culturale, storica, genetica?
Ma no, forse tutto è riconducibile alla bravura del "regime", che siede al potere in quel determinato momento, di saper lobotomizzare meglio la psiche dei suoi cittadini, offrendo loro delle caramelle così dolci dar far dimenticare l'amaro che circonda la realtà in cui sono immersi. "Caramelle non ne voglio più, le rose e violini questa sera raccontali a un’altra" cantava Mina in "Parole, parole, parole", eppure gli Italiani, brava gente, sono ancora dei bambini che si accontentano di alimentarsi soltanto di dolcissime caramelle, senza far nulla o ben poco per cambiare dieta.

Salvatore Tamburro

sabato 1 gennaio 2011

Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno

Primo gennaio, tutti pronti ad augurarsi il meglio nell'anno che verrà, cercando di dimenticare le cose brutte accadute nell'anno passato, facendo progetti per il futuro, ascoltando l'astrologo di fiducia sperando possa offrirci una versione soddisfacente sul nostro segno zodiacale, telefonando a parenti che ufficiosamente amiamo sentire solo durante le feste per dovere di parentela e tutta un'altra serie di gesti formali che si ripetono tra natale e capodanno. Manca pasqua e finalmente questo calvario sarà terminato.
Tra una formalità e l'atra vi lascio alle parole di Antonio Gramsci circa la sua visione del capodanno, un inno alla rinascita personale, tralasciando i riti e la cronologia che fanno perdere il senso della continuità della vita.


Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un'azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date. Dicono che la cronologia è l'ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch'essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell'età moderna. E sono diventati cosí invadenti e cosí fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 o il 1492 siano come montagne che l'umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Cosí la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa la film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante. Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell'animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca. Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell'immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno piú nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d'inventario dai nostri sciocchissimi antenati.

(Antonio Gramsci, “Avanti!“, ed. torinese, rubrica “Sotto la mole“, 1 gennaio 1916.)

Salvatore Tamburro